Stalin, cozze e banane
Sono giorni di clausura, talvolta tetri e sentimentalmente uggiosi, anche con fuori il sole e gli scottanti 17 gradi che ci sono amorevolmente concessi qui a Nord (oltre i 10 inizia la stagione bikini).
I giorni si confondono e mescolano in un'accozzaglia indiscernibile: un po' come quando, da bambini, una brillante creatività ci spingeva a mischiare insieme tutti i colori del Didò, dove il risultato finale era un obbrobrio marronciastro dalle venature blu.
Per questo, trovare sollievo nei piccoli gesti quotidiani, nei piccoli atti d'amore verso noi stessi, è quantomai importante per la nostra salute psicofisica, e per quella di coloro con cui interagiamo nel quotidiano, perché anche virtualmente o a due metro di coscienziosa distanza si possono lanciare sortilegi, macumbe e coltelli.
Spronati da una forza interiore forgiata dal fuoco di mille battaglie, in molti hanno deciso di rifugiarsi nella parola stampata, onde evitare lo stato vegetativo e la corrosione del divano (e la perdita di conoscenza di fronte al catalogo di film e serie tv in streaming). Dopo mesi a lamentarmi che non ho mai abbastanza tempo per leggere, mi è sembrata una buona scusa per prendere in mano qualche bel tomo (e per non sprofondare nella melma dell'ipocrisia e della procrastinazione più del necessario).
È dunque con questo spirito giocoso e bisogno di leggerezza che ho iniziato a leggere Stalin: The Court of The Red Tsar (in Italiano reso come Gli Uomini di Stalin, trasposizione che non condivido perché 1) il libro parla anche delle donne che facevano parte del suo entourage e che sono state comunque di grande importanza e le cui testimonianze hanno contribuito enormemente a ricostruire i fattacci di corte 2. proprio l'aspetto dell'ambiente di corte ne esce sminuito, è di un dinamicissimo e terribile ecosistema di cui parlando e non di un fotoromanzo, anche se alcuni aspetti sono meravigliosamente da soap opera). 700 pagine circa, perché è il paperback.
L'opera di Simon Sebag Montefiore si focalizza sul dittatore attraverso le sue interazioni con i suoi cortigiani, attraverso note, corrispondenze, testimonianze di chi è stato ha vissuto in prima persona i fatti accaduti attorno allo "zar rosso" negli anni al potere (i pochi che ne sono usciti più o meno illesi).
Normalmente non sono un amante appassionata dei libri di storia e delle biografie, anche se ci sono innumerevoli argomenti che mi affascinano e di cui vorrei avere una conoscenza più approfondita, ma spesso sono portata a scegliere un altro titolo per la difficile lettura dei testi storiografici. Quest'opera però mi ha piacevolmente sorpresa e la raccomanderei vivamente a tutti coloro che hanno un debole per la storia e cultura russa.
Non solo un racconto dettagliato della vita di Stalin & Co, quello che più apprezzo è la farcitura ghiotta di episodi, fatti, testimonianze che portano a vedere questa grande e sanguinosa famiglia, un covo di serpi che sono anche capaci di estremi atti di tenerezza, attraverso la serratura di una porta di ferro.
Se ci si trova inevitabilmente davanti a soprusi, minacce, corruzione, tradimenti e tragedie della storia ci vengono però snocciolati punti di luce, momenti di umanità e chicche deliranti e al limite dello scompiscio.
E così da questo lavoro titanico di raccolta di testimonianze edite e non, attraversando note, registri, manoscritti e interviste con gli eredi di quella parte di storia, ci troviamo davanti uno Stalin che ha i suoi momenti da buon babysitter, che licenzia il ministro del commercio per delle banane poco mature, ubriaco marcio che abbraccia l'ambasciatore giapponese che ha accompagnato alla stazione.
Questo attraverso le sue relazioni con i magnati di turno e le loro famiglie-amanti-protetti.
Anche la lunga agonia che precede la sua morte diventa un trattato di come una telenovela dovrebbe andare, con colpi di scena ad ogni attimo, e che va seguita con attenzione per capire chi sta con chi e in quale momento.
Una sorta di tragicommedia che è stata resa benissimo nel film La Morte Di Stalin di Armando Iannucci, che se si concede qualche licenza poetica rende comunque benissimo il clima di doppio-triplogiochismo, e di guerra di tutti contro tutti, dipingendola in tutta la sua assurdità al limite del ridicolo (e spesso varcandolo palesemente).
Bene, tutto questo è servito come terapia non tanto per la leggerezza del tema trattato, ma per il fatto che sia uno storico che un regista siano riusciti a trovare il lato comico anche parlando di una tirannide basata sul terrore e della morte di un baffuto dittatore. Ecco, mantenendo in tutto ciò la delicatezza di non omettere o stravolgere troppo i fatti, e mantenendo la consapevolezza della gravità dei fatti, alla fine lasciarsi andare a una grande, fragorosa risata liberatoria è una delle cose piu importanti, soprattutto ora.
Ciò detto, vi lascio ad uno dei miei momenti preferiti del programma Radio Rai Due 610 Sei Uno Zero, di Lillo e Greg.
A buon rendere Gondi.




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